Traduzione e sintesi di Martina Decina
Come strumenti chiave per valutare l’attuazione dell’Agenda 2030, il segretariato delle Nazioni Unite ha pubblicato il The Sustainable Development Goals Report 2018 e una relazione dal titolo Progress TowardsSustainable Development Goalsche dovrebbero fornire informazioni adeguate ai ministri che stanno prendendo parte all’High Level Political Forum sugli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG).
Entrambe le pubblicazioni mirano a “fornire una panoramica globale della situazione attuale” degli SDG, “sulla base degli ultimi dati disponibili per gli indicatori “.
Ribadendo che “la disponibilità di dati di qualità, accessibili, aperti, tempestivi e disaggregati è vitale per un processo decisionale basato sull’evidenza e la piena attuazione dell’Agenda 2030” l’enfasi su alcuni indicatori piuttosto che altri, una gestione arbitraria della disaggregazione e un uso incoerente o trascurato dei trend si traduce in un messaggio che non riesce a trasmettere il “senso di urgenza” di cui parla il segretario generale delle Nazioni Unite António Gutierres nella sua prefazione al rapporto.Ancor peggio, il principio delle “responsabilità comuni ma differenziate” di tutti i paesi è assente e il rapporto ignora sistematicamente o minimizza le prove del contributo dei paesi sviluppati all’attuale non sostenibilità del pianeta eall’ appropriazione ingiusta delle risorse. L’elaborazione di questo rapporto è stata un processo complesso, con oltre 200 indicatori classificati in tre livelli. Il livello I comprende quelli con “metodologia stabilita a livello internazionale” e dati regolarmente prodotti per almeno la metà dei paesi. Gli indicatori di livello II soddisfano gli stessi requisiti metodologici ma mancano di copertura di dati sufficiente, e gli indicatori di livello III sono quelli per cui la metodologia e gli standard sono ancora in fase di discussione.
Mentre nelle note al lettore si sottolinea che nel rapporto sono stati inclusi solo gli indicatori di livello I, in realtà molti indicatori di livello II e III sono stati utilizzati (senza spiegare secondo quali criteri). Ad esempio, l’obiettivo SDG 12.6 cerca di “incoraggiare le imprese, in particolare quelle transnazionali, ad adottare pratiche sostenibili”. Mentre entrambi gli indicatori per misurare questo obiettivo rimangono al Livello III a causa della mancanza di una metodologia consolidata, il rapporto sugli SDG cita la società di revisione privata KPMG per informare i lettori che “il 93% delle 250 maggiori società al mondo sta pubblicando dei report sulla propria sostenibilità”. Questo risultato positivo è l’unica menzione fatta alle aziende nell’intero rapporto, elemento insufficiente, distorto e da sottolineare considerando le elevate aspettative sul ruolo settore privato nell’’implementazione degli SDG e nel loro contributo alla mobilitazione di “trilioni” di investimenti esteri per gli SDG.
Mentre viene fatto uno sforzo per trovare elementi positivi sulle multinazionali, la vera sfida è rappresentata dalla “mancanza di esperienzee risorse per segnalare il ruolo ricoperto delle piccole e medie imprese, che svolgono un ruolo chiave in alcune economie, specialmente nei paesi in via di sviluppo”. L’obiettivo SDG 9.3 promette di” aumentare l’accesso delle piccole imprese industriali e di altre imprese, in particolare nei paesi in via di sviluppo, ai servizi finanziari (…) e alla loro integrazione nelle catene del valore e nei mercati “. Ma gli indicatori per quest’obiettivo non sono stati inclusi nel report.
La “povertà assoluta” è stata definita nel 1973 dal presidente della Banca Mondiale Robert McNamara come “una condizione di vita così degradata da malattie, analfabetismo e malnutrizione da negare alle sue vittime le necessità umane fondamentali”. Mezzo secolo dopo, come possiamo celebrare la riduzione della povertà nell’SDG 1 (basato su una definizione di povertà limitata al l reddito) e poi riferire sul SDG 2 che “la fame nel mondo sembra essere in aumento?”. Il rapporto non commenta l’apparente contraddizione di una stima di soggetti affetti da malnutrizione (815 milioni nel 2016) che è superiore al numero presumibilmente in calo di quelli sotto la soglia di povertà estrema (783 milioni nel 2013), dimenticando che la stessa Banca Mondiale considera che “la malnutrizione non solo perpetua la povertà del reddito, ma è essa stessa un indicatore di povertà”.
Conflitti, siccità e disastri legati ai cambiamenti climatici sono elencati nelrapporto sugli SDG come fattori chiave dell’aumento della malnutrizione. Tuttavia, non è stato trovato alcun nesso con a scoperta dello stesso rapporto secondo cui “un quinto della superficie terrestre coperta da vegetazione mostra un calo nella produttività dal 1999 al 2013, minacciando i mezzi di sussistenza di oltre un miliardo di persone”, indicatore elencato per l’SDG 15. Analogamente, l’alto tasso di mortalità per “avvelenamenti non intenzionali” nei paesi a basso reddito è riportato nell’SDG 3 sulla salute (obiettivo 3.9), ma senza collegarlo all’uso eccessivo di pesticidi, che ne è causa diretta.
Gli obiettivi che obbligano i paesi a “garantire sistemi di produzione alimentare sostenibili e attuare pratiche agricole resilienti” (obiettivo 2.4) e a “raddoppiare la produttività agricola e i redditi dei piccoli produttori alimentari, in particolare donne, popolazioni indigene, agricoltori familiari, pastori e pescatori “(obiettivo 2.3) non sono nemmeno menzionati.
I paesi sviluppati sono elogiati nell’analisi del Climate Goal (SDG 13) perché “continuano a fare progressi verso il raggiungimento dell’obiettivo di mobilitare congiuntamente 100 miliardi di dollari l’anno entro il 2020”. L’indicatore 13.a.1 sul quadro statistico cerca di misurare, precisamente, la quantità di denaro effettivamente mobilitato per tale impegno. Ma questo indicatore è classificato come Livello III (senza metodologia concordata) e con buone ragioni, perché i paesi sviluppati e in via di sviluppo difficilmente possono concordare i dettagli della contabilità.
Secondo quanto riportato daOxfamall’interno delClimate Finance Shadow Report l’assistenza specifica per il clima è nettamente inferiore rispetto ai finanziamenti climatici segnalati: i numeri sugli aiutipubblici per il clima nel 2015-16 ammontano a circa $ 48 miliardi all’anno. Tuttavia, questi numeri non possono essere presi in considerazione secondo il loro valore nominale: secondo le stime di Oxfam l’assistenza specifica per il clima vale al netto solo tra i $ 16-21 miliardi.
Questa visione positiva dei paesi più ricchi è in contrasto con l’indicatore 16.2.1. Il rapporto riporta infatti che, nonostante si conosca il loro impatto dannoso e duraturo, le forme di disciplina violenta contro i bambini sono ancora diffuse. Quasi 8 bambini su 10 di età compresa tra 1 e 14 anni sono stati vittime regolari di una qualche forma di aggressione psicologica e / o punizione fisica domestica in 81 paesi (principalmente paesi in via di sviluppo) secondo i dati disponibili dal 2005 al 2017. Qualsiasi lettore ragionevole concluderebbe da questa affermazione che i bambini nei paesi in via di sviluppo vengono picchiati su vasta scala, presumibilmente in una proporzione molto maggiore rispetto a quelli dei paesi sviluppati, per i quali non viene fornita alcuna informazione. Infatti, il database UNICEF da cui sono estratte queste informazioni, ha a disposizione dati per 81 paesi in via di sviluppo, e nessuna informazione sui paesi sviluppati, pertanto non è possibile effettuare confronti espliciti o imspliciti. L’indicatore non ha una copertura minima per rivendicare la rappresentatività globale e non dovrebbe essere incluso affatto, ancor meno in una formulazione che sembra stigmatizzare i paesi in via di sviluppo.
Al contrario, il rapporto sul tasso di mortalità per suicidio, che viene utilizzato per illustrare l’obiettivo 3.4 sulla salute mentale, afferma che nel 2016 si sono verificati circa 800.000 suicidi, invariati rispetto all’anno precedente. L’unica discriminazione regionale fornita è quella di informare i lettori che l’Europa ha il più alto tasso di suicidi tra maschi e femmine, ma da nessuna parte viene menzionato ciò che mostra chiaramente il database dell’OMS: nel 2016 il tasso di suicidi per entrambi i sessi nelle regioni sviluppate era di16,5 morti per 100.000 persone, che è superiore del 75% rispetto al tasso di 9,4 nei paesi in via di sviluppo. Perché le migliori prestazioni di salute mentale dei paesi in via di sviluppo non sono state ritenute meritevoli di menzione? Non viene fornita alcuna motivazione.
L’SDG 10, che promette di ridurre le disuguaglianze all’interno e tra i paesi, è spesso citato come una delle innovazioni trasformative dell’agenda 2030. Eppure, nonostante l’abbondante letteratura e la ricca discussione accademica sulle disuguaglianze, il rapporto non menziona le disuguaglianze tra i paesi, e non utilizza strumenti metodologici consolidati come l’indice Gini o il rapporto Palma (che misura le differenze tra i redditi del 10%più ricco e il 40% più povero della popolazione), e invece piuttosto ottimisticamente riporta che “tra il 2010 e il 2016, in 60 dei 94 paesi con dati disponibili, i redditi del 40% più povero della popolazione sono cresciuti più velocemente di quelli dell’intera popolazione”. Mancando qualsiasi altra informazione per bilanciare o completare questo indicatore, il lettore è portato a credere che, quindi, le disuguaglianze siano in qualche modo ridotte.Questo non è quello che dicono tutti gli altri studi internazionali. L’OCSE, ad esempio, riferisce che “la disuguaglianza tra i redditi nei paesi dell’OCSE è al livello più alto degli ultimi 50 anni. Il reddito medio del 10% più ricco della popolazione è circa nove volte quello del 10% più povero. Inoltre, nelle economie emergenti, come la Cina e l’India, un periodo di forte crescita economica ha contribuito a sottrarre milioni di persone da una condizione di povertà assoluta. Ma i benefici della crescita non sono stati equamente distribuiti e gli elevati livelli di disuguaglianza di reddito sono aumentati ulteriormente. Tra le economie emergenti, solo il Brasile è riuscito a ridurre fortemente la disuguaglianza, ma il divario tra ricchi e poveri è ancora circa cinque volte superiore a quello dei paesi OCSE.
In un recente studio, il FMI spiega che la quota di reddito nazionale pagata in salari, inclusi i sussidi ai lavoratori,ha registrato una tendenza al ribasso in molti paesi. Nelle economie avanzate, le percentuali di reddito da lavoro hanno iniziato a diminuire negli anni ’80, raggiungendo il livello più basso dell’ultimo mezzo secolo prima della crisi finanziaria globale del 2008-09, e da allora non hanno più recuperato.
Insomma l’analisi di Roberto Bissio ci mostra come il rapporto dell’ONU sia limitato, insufficiente e in parte distorto nel presentare la situazione nei paesi ricchi e in via di sviluppo. Come indicato nel rapporto di Gcap Italia gli indicatori e le analisi delle connessioni tra gli obiettivi sono carenti e alle volte contraddittorie. E’ quindi necessario continuare a nutrire il dibattito sugli SDG con una visione critica e che aiuti di più a indicare le vere questioni di fondo e le misure da intraprendere per migliorare la coerenza delle politiche.