Nella notte di Martedì 12 gennaio il Consiglio dei Ministri ha approvato il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), più conosciuto come Recovery Plan. È il primo atto formale di una procedura che prevede un articolato passaggio parlamentare, e che si concluderà con la consegna del piano all’Unione Europea entro il prossimo aprile.
Il piano copre il periodo 2021-2026 e i soldi in ballo, tra prestiti e trasferimenti, ammontano a 209,89 miliardi di euro nell’ambito del programma Next generation EU concepito per rilanciare l’Unione dopo la pandemia; a questi sono stati aggiunti i 13 miliardi del React EU stanziati per l’emergenza COVID, portando il totale a 222,89 miliardi. Questa cifra a sua volta è integrata con 6,90 miliardi di fondi strutturali europei, 1 miliardo del fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), e 79,81 miliardi di risorse programmate per il 2021-2026 dal bilancio nazionale. In totale il finanziamento ammonta a ben 310,60 miliardi di euro. Queste risorse sono ripartite in 6 missioni, che si articolano in 16 componenti e in 47 progetti, molti dei quali si suddividono in ulteriori voci.
Nel seguito cercheremo di fare qualche commento di prospettiva, prescindendo dalle contingenze politiche.
Il piano è un documento corposo, oltre 170 pagine, e si compone di una “PARTE 1 – IL PNRR: UNA VISIONE D’INSIEME”, e una “PARTE 2 – IL PNRR: MISSIONI E LINEE PROGETTUALI”, con un ricco corredo di tabelle. Mi colpisce – soprattutto nella prima parte – la presenza di più di un accento retorico, fin dall’incipit: “Costruire un’Unione Europea per le prossime generazioni. È questo il compito storico a cui siamo chiamati. Per essere protagonisti, e non comprimari, della storia di questo secolo.”. Proseguo la lettura sperando che accanto alla retorica sia possibile reperire visione e concretezza, due dimensioni che dovrebbero caratterizzare qualsiasi buon piano.
Nella PARTE 1, tra le altre cose, si dà conto del percorso fatto anche in termini di “consultazione pubblica con gli attori istituzionali, economici e sociali che dovrà proseguire ai fini dell’adozione definitiva del Piano”, e si menziona in particolare il “Comitato Colao” della primavera del 2020, e la successiva iniziativa “Progettiamo il Rilancio” di giugno 2020, a Villa Pamphilj in Roma. A fronte di ciò non posso non pensare alle reiterate lamentazioni, ampiamente riportate dai media, di uno scarso coinvolgimento delle parti sociali (industria, sindacati e via dicendo) nella predisposizione dell’attuale documento del PNRR, e mi si affaccia alla mente un messaggio che compare qualche volta sullo schermo del mio computer: “Oooops! Qualcosa è andato storto!”
Passando ai contenuti del documento, l’impressione è che grosso modo il PNRR contiene tutti i temi rilevanti e identifica più o meno tutte le criticità, incluse quelle per le quali è indispensabile intraprendere nel nostro paese un massiccio percorso di riforme urgenti ed efficaci; non potrebbe essere altrimenti, dal momento che il piano segue le linee guida europee in particolare per quanto riguarda la ripartizione delle risorse (almeno il 37% in investimenti e riforme per la transizione ecologica, almeno il 20% in investimenti e riforme per la transizione digitale), e si allinea alle raccomandazioni del Consiglio europeo all’Italia (EU Country Specific Recomendations ITALY, Maggio 2020). Certo si potrebbe discutere sulla relativa importanza data alle varie voci all’interno delle macroripartizioni, laddove si intravvede ad esempio una tendenza a favorire i “grandi progetti” come l’alta velocità ferroviaria piuttosto che gli interventi diffusi sul territorio come la mobilità locale sostenibile, di cui in questo paese c’è un gran bisogno, ma è da sperare che su questi aspetti si possano fare gli opportuni aggiustamenti nei prossimi passi previsti per la finalizzazione del piano.
Mi colpisce il grande divario tra le somme attribuite alle diverse voci in cui il piano si articola: si va da 18,51 miliardi di euro per “Efficientamento energetico e sismico, edilizia residenziale privata e pubblica”, a 0,1 miliardi per “Pubblica Amministrazione Smart: creazione di Poli Territoriali per il reclutamento, la formazione, il co-working e lo smart-working”. L’impressione è che in questo piano compaiono delle voci troppo “di dettaglio”, che appaiono non omogenee con l’approccio generale del documento; tanto per fare un esempio, nella componente “Digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo” che vale 26,73 miliardi di euro, c’è un progetto intitolato “Innovazione e tecnologia dei microprocessori” che vale 0,75 miliardi, e un altro progetto “Costellazione satellitare e Istituto Nazionale di Osservazione della Terra ” che vale 0,90 miliardi; non discuto l’importanza di queste voci, ma è difficile non rilevare la presenza di questi “piccoli” (in proporzione agli altri) progetti, le cui attività potrebbero ben essere ricomprese in progetti più ampi, e che si affiancano a voci di ben altra dimensione come la “Transizione 4.0” che vale 18,98 miliardi di euro, o il progetto “Banda Larga, 5G e monitoraggio satellitare” che ne vale 4,20.
Insomma, non è facile sfuggire alla tentazione di ipotizzare che queste inserzioni hanno il fine di dare visibilità a specifiche attività su pressione di non si sa bene chi, pratica a cui siamo abituati – mi viene in mente il termine abusato “assalto alla diligenza” – ma che in un documento di questa strategicità e rilevanza, forse, poteva essere evitata, per ovvi motivi di equilibrio generale del piano. Anche perché complica notevolmente la lettura e la comprensione d’insieme, in una parola la visione del piano.
Mi chiedo perché non fare un piano sintetico che da una parte definisca con chiarezza gli obiettivi generali, e poi in maniera elementare elenchi le azioni (poche, per carità!), e per ogni azione identifichi gli obiettivi specifici che si vogliono perseguire, i costi, le fonti di finanziamento, i tempi, chi esegue, chi controlla. Auspico che le successive elaborazioni del piano, nell’ambito dei previsti passaggi nelle commissioni parlamentari e, spero, interlocuzioni efficaci e trasparenti con le parti sociali, facciano muovere il documento in questa direzione, in particolare specificando i meccanismi di governance che non mi paiono presenti in questa versione del piano.
Detto questo, qualche rapida considerazione sull’attuazione del piano.
Nel nostro Paese c’è una cronica difficoltà a spendere i fondi europei. Capita che i progetti che si propongono siano delle “belle idee”, che però fanno fatica a inserirsi nel tessuto sociale e territoriale per cui sono pensati, e una volta realizzati – non di rado con ritardi e difficoltà anche nella rendicontazione – non forniscono quel valore aggiunto che si potrebbe ipotizzare sulla base del finanziamento in gioco. In altre parole, facciamo fatica a integrare i progetti europei con le altre attività di carattere nazionale e/o locale, e il motivo principale risiede nel fatto che non siamo abituati a pianificare, e dunque a costruire quadri d’insieme con visioni e obiettivi ben definiti, dentro cui sarebbe agevole collocare efficacemente anche le azioni finanziate dall’Europa. Logico quindi preoccuparsi sulla effettiva capacità di spendere i soldi del PNRR, al punto che il Commissario europeo agli affari economici Gentiloni parla della necessità di mettere in piedi “procedure straordinarie”.
Altra considerazione, ma strettamente legata alla precedente: il PNRR è un piano straordinario, ma è essenziale che si integri con la pianificazione ordinaria del nostro paese a livello nazionale, regionale e locale. A questo proposito una criticità non da poco è che spesso la pianificazione ordinaria, per quel che ne so, manca, come nel caso del Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici o della Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile, per i quali esistono da anni documenti che circolano e vengono periodicamente limati, ma non arrivano a una finalizzazione e adozione. Questo è molto grave, basti pensare che la maggiore quota di finanziamenti nel PNRR (almeno il 37% del totale dei finanziamenti assegnati su precisa indicazione europea) è attribuita alla transizione ecologica, e proprio la pianificazione in campo ambientale, dentro cui dovrebbero innestarsi tanti progetti finanziati dal PNRR, presenta delle carenze e addirittura delle assenze nel nostro paese
La versione del Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici che ho trovato in internet, nel sito del Ministero dell’Ambiente, è di giugno 2018, e riporta in copertina la dicitura “in via di approvazione”. Sarebbe lo strumento fondamentale per affrontare in maniera organica le criticità, ormai sotto gli occhi di tutti, dovuti ai cambiamenti climatici, con particolare focus su dissesto geologico, idrologico ed idraulico; gestione delle zone costiere; biodiversità; insediamenti urbani. Temi sui quali continuiamo ad assistere a disastri sempre più frequenti e a rincorrere emergenze su emergenze.
Per quanto riguarda la Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile il testo che ho trovato, sempre sul sito del Ministero dell’Ambiente, risale addirittura a ottobre 2017. E si tratta di un piano, se possibile, ancora più fondamentale del precedente, che dovrebbe onorare l’impegno dell’Italia a declinare gli obiettivi strategici dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile nell’ambito della programmazione economica, sociale ed ambientale nazionale. Le aree coperte dalla strategia sono: Persone, Pianeta, Prosperità, Pace e Partnership. In pratica, tutto. È lo strumento che ci farebbe fare l’autentico salto di qualità, in quanto fornirebbe obiettivi e indicatori non solo di carattere economico-finanziario che sono quelli con i quali siamo abituati a confrontarci da decenni, ma anche di carattere sociale e ambientale. Tanto per fare qualche esempio: la lotta alla povertà e all’esclusione sociale, la promozione dell’istruzione e la lotta alla disoccupazione, la protezione sociale, la promozione della salute e del benessere, la cura delle comunità locali e del patrimonio naturalistico e culturale, la decarbonizzazione dell’economia e l’introduzione di modelli di consumo sostenibili, la tutela della biodiversità, assicurare legalità e giustizia, eliminare ogni forma di discriminazione … e via dicendo.
Tra l’altro l’assenza di obiettivi di sostenibilità a livello nazionale, che dovrebbero essere adottati nella Strategia Nazionale di cui sopra e declinati anche a livello regionale e locale, rende le Valutazioni Ambientali Strategiche (VAS) relative ai piani e programmi una procedura spesso di limitata utilità; questo purtroppo fornisce argomenti a chi considera tali procedimenti delle inutili complicazioni burocratiche che hanno come unico effetto quello di allungare i tempi, quando invece una VAS ben fatta, oltre a verificare la sostenibilità dal punto di vista ambientale delle azioni previste nel piano, rende molto più agevoli, rapide ed efficaci le Valutazioni di Impatto Ambientale delle opere di pertinenza del piano/programma.
Infine, faccio fatica a comprendere perché documenti di pianificazione della rilevanza del Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici e della Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile, nella forma in cui sono reperibili su internet, abbiano esclusivamente il logo del Ministero dell’Ambiente: non dovrebbero essere espressione del Governo e del Parlamento, come e più del PNRR, e questo non dovrebbe essere evidente sia nella procedura di realizzazione che nella forma esteriore con cui questi documenti vengono resi disponibili?
Insomma, mi pare che sia essenziale, e che ci sia molto lavoro da fare, per completare il quadro programmatorio ordinario, soprattutto con gli strumenti menzionati, anche perché questo contribuisce in maniera determinante a orientare gli investimenti privati, che devono giocare un ruolo fondamentale nella ripresa del paese.
Il punto è che in Italia manca una cultura della pianificazione, e questo espone a provvedimenti “in deroga a …” o “nelle more dell’attuazione di …”, che purtroppo sono un malcostume diffuso nel nostro paese, tanto da rendere legittimo il sospetto che, oltre a indubbie carenze culturali e amministrative, vi sia talvolta la deliberata volontà di procrastinare per quanto possibile le azioni di pianificazione proprio per potersi tenere “le mani libere”. Questo ha contribuito in maniera significativa al declino del nostro paese, insieme a una diffusa corruzione e alle frequenti intrusioni malavitose. Per contrastare tutto questo, tra le altre cose si è concepito un codice degli appalti che rende le procedure di aggiudicazione molto complicate, il che allunga terribilmente i tempi di realizzazione delle opere, quando sappiamo che le ricadute economiche positive di un’opera sono tanto maggiori quanto più rapida è la sua realizzazione; purtroppo attualmente il tempo medio di esecuzione per le realizzazioni di opere al di sopra dei 50 milioni di euro è di 13 anni e mezzo, un tempo non compatibile con la tempistica del PNNR, e comunque eccessivo in assoluto, ed è per questo che si invocano procedure straordinarie (alla Ponte Morandi tanto per intenderci).
In conclusione, di criticità di contesto ve ne sono tante nel nostro paese, e fanno temere che se anche entro aprile si confezionerà un PNRR ben fatto, le vere difficoltà si paleseranno nella fase attuativa.
D’altro canto, e volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, se queste criticità verranno affrontate come si deve, anche ricorrendo se proprio necessario a procedure straordinarie, ma nel contempo finalizzando e adottando tutti gli strumenti di pianificazione ordinaria che al momento mancano all’appello, si potrà pervenire nella manciata di anni 2021-2026 sia alla realizzazione del PNRR che a una serie di riforme ormai non più procrastinabili, e soprattutto a un cambio di mentalità, anche grazie – e lo auspico fortemente – a un sostanzioso ringiovanimento della pubblica amministrazione, dove le nuove assunzioni sono rimaste al palo per troppo tempo.
La scommessa è quella di riformare l’ordinario in un periodo straordinario. Il periodo straordinario sono gli anni 2021-2026, che non sono molti, ma neanche pochi.
Di Mario Carmelo Cirillo, attivista FOCSIV